La fine del lavoro.

LavoroGratis

La fine del lavoro.

Beppe Grillo ha ragione, la concorrenza (sleale) al lavoro umano sono le macchine.
Però le macchine (i robot) sono il futuro, il lavoro di produzione potrebbe scomparire completamente. Lo scopo delle attuali politiche economiche e finanziarie è quello di controllare i capitali (e le macchine) in modo da obbligare gli uomini al lavoro ripetitivo e mantenerli schiavi. Lo scopo principale è il potere, non la ricchezza!
(continua…)

Jobs end



La soluzione alla scomparsa del lavoro, almeno come è inteso oggi, sembra impossibile, invece è abbastanza semplice. Basterebbe che il reddito generato dalla produzione automatica venisse redistribuito in quantità sufficiente a giustificare la produzione stessa. Solo poche persone lavorerebbero, svolgendo mansioni più qualificate e molto diverse da quelle di oggi, ottenendo una ricchezza superiore alla media, ma sarebbero le macchine a mantenere la rimanente parte dell’umanità. Ovviamente la popolazione non dovrebbe aumentare oltre i limiti imposti dalle risorse del pianeta, altrimenti tutto si squilibrerebbe catastroficamente. Questo sarebbe possibile se fossimo di fronte ad un problema economico, ma la natura del problema che viviamo oggi non è economica ma politica. Ribadisco, lo scopo è il potere di pochi sulle masse.

Il cavallo di troika

Tsipras

(ANSA) – BRUXELLES, 19 FEB – La Commissione Ue ha ricevuto la richiesta di estensione del programma di aiuti, e ritiene che sia “un segno positivo che spiana la strada ad un compromesso ragionevole nell’interesse di tutta l’Eurozona”: lo ha detto il portavoce del presidente Jean Claude Juncker precisando che il presidente, Dijsselbloem e Tsipras hanno avuto discussioni fino a questa mattina.

Caro Presidente dell’Eurogruppo,
Nel corso degli ultimi cinque anni, il popolo greco ha esercitato notevoli sforzi di adeguamento economico. Il nuovo governo si è impegnato ad un processo di riforma più ampio e profondo volto a un duraturo miglioramento delle prospettive di crescita e di occupazione, a raggiungere la sostenibilità del debito e la stabilità finanziaria, a migliorare l’equità sociale e a mitigare il notevole costo sociale della crisi in corso.
Le autorità greche riconoscono che le procedure concordate dai governi precedenti sono state interrotti dalle elezioni presidenziali e recenti, e che, di conseguenza, molte delle disposizioni tecniche sono state invalidate. Le autorità greche si impegnano a onorare gli obblighi finanziari della Grecia verso tutti i suoi creditori, così come affermano la loro intenzione di collaborare con i partner al fine di evitare ostacoli tecnici nell’ambito del Master Facility Agreement che noi riconosciamo come vincolanti nei suoi contenuti finanziari e procedurali.

In questo contesto, le autorità greche chiedono la proroga del Master Financial Assistance Facility Agreement (il nome tecnico del programma, ndr) per un periodo di sei mesi dalla sua conclusione, nel corso del quale periodo si procederà congiuntamente, e utilizzando al meglio la flessibilità presente nell’accordo attuale, verso l’efficace conclusione e un riesame sulla base delle proposte, da un lato, del governo greco e, dall’altro, delle le istituzioni.

Lo scopo della proroga di sei mesi su richiesta della durata dell’Accordo è:
(a) Di accettare i termini finanziari e amministrativi reciprocamente accettabili la cui attuazione, in collaborazione con le istituzioni, stabilizzerà la posizione fiscale della Grecia, porterà a conseguire adeguati avanzi di bilancio primario, la stabilità del debito e la realizzazione degli obiettivi di bilancio per il 2015 che prendano in considerazione l’attuale situazione economica.
(b) Di assicurare, in stretta collaborazione con i nostri partner europei e internazionali, che le nuove misure siano integralmente coperte, e che ci asterremo da azioni unilaterali che potrebbero pregiudicare gli obiettivi di bilancio, la ripresa economica e la stabilità finanziaria.
(c) Di consentire alla Banca Centrale Europea di reintrodurre l’esenzione in conformità con le sue procedure e i regolamenti.
(d) Di estendere la disponibilità delle obbligazioni EFSF detenute dal HFSF per tutta la durata dell’accordo.
(e) Di iniziare i lavori tra i team tecnici su un possibile nuovo contratto, per la ripresa e la crescita, che le autorità greche prevedono tra la Grecia, l’Europa e il Fondo monetario internazionale, che potrebbe seguire l’accordo corrente.
(f) Di accordarsi su una vigilanza nel quadro dell’Unione europea e della Bce e, nello stesso spirito, con il Fondo monetario internazionale per tutta la durata dell’accordo prorogato.
(G) Di discutere la maniera di attuare la decisione dell’Eurogruppo del novembre 2012 in merito a possibili ulteriori interventi sul debito e per l’assistenza alla sua attuazione dopo il completamento dell’accordo prorogato e come parte del contratto di follow-up.

Con in mente quanto sopra, il governo greco esprime la sua determinazione a cooperare strettamente con le istituzioni dell’Unione europea e con il Fondo monetario internazionale per: (a) per raggiungere la stabilità di bilancio e finanziaria e (b) per consentire al governo greco di introdurre riforme sostanziali e profonde che sono necessarie per ripristinare le condizioni di vita di milioni di cittadini greci attraverso una crescita economica sostenibile, attività lucrative e coesione sociale.

Cordialmente

Yanis Varoufakis

Ministro delle FInanze della Repubblica ellenica

Fonte: http://www.eunews.it/2015/02/19/la-lettera-della-grecia-per-richiedere-lestensione-di-6-mesi-del-programma-testo/30607
(Traduzione della lettera pubblicata in anteprima dalla Reuters)

Il testo della lettera è volutamente ambiguo e chi in un primo tempo ha pensato che Tsipras e Varoufakis fossero degli ingenui dilettanti allo sbaraglio dovrà ricredersi.
Questo documento potrebbe rivelarsi un autentico cavallo di Troia volto a scardinare la politica economica europea dall’interno.
I primi effetti già si vedono.
In Germania si evidenziano le prime divisioni interne fra governo e partito socialdemocratico. “La lettera di Atene non presenta alcuna proposta di soluzione sostanziale”, fa sapere il governo di Berlino. “Lo scritto non corrisponde ai criteri stabiliti nell’eurogruppo di lunedì”. Ma Gabriel striglia Schaeuble: “la proposta scritta del governo greco per le trattative sul prosieguo del programma di riforme è un primo passo nella direzione giusta”.
La Francia: “Agisce e agirà affinché la Grecia possa mantenere il suo posto in questa Europa”.
Renzi non si esime dall’esprimere le sue solite insignificanti opinioni: “L’Italia sta facendo lavoro di cerniera tra i Paesi più rigidi, austeri, e la Grecia. Cerchiamo di dare una mano al governo greco, d’accordo con la commissione Ue, per trovare una soluzione. Il governo greco non può fare il furbo e lasciare da pagare agli altri. Ma un minimo di flessibilità va dato a fronte di riforme”.
La Ue invece: “Spiana la strada a un accordo ragionevole”.
I paesi del nord appoggiano la Germania.
Anche i governi degli altri paesi sottoposti alla dieta tedesca, appoggiano la Germania perché “hanno già fatto le riforme ed i sacrifici necessari e non è giusto che la Grecia ne sia esentata”, ma le opposizioni e le popolazioni in difficoltà potrebbero prendere il sopravvento, ad esempio Le Pen in Francia, Podemos in Spagna.
Il Fondo monetario se ne lava le mani: “Le attuali discussioni sulla Grecia riguardano l’eventuale estensione del programma europeo. Il programma del Fondo monetario scade nel marzo del 2016 e va avanti fino al 2016. In questa fase non c’è bisogno di prorogarlo”.

Questa situazione è fluida e potrebbe evolversi in modi diversi. Potrebbe sfociare in un conflitto politico permanente fra i nazionalismi di Grecia e Germania oppure in una coalizione anti-tedesca dei paesi in difficoltà o ancora in un totale sfaldamento della UE. Anche una revisione dei trattati e del ruolo della BCE, si prospetta all’orizzonte, anche se purtroppo è improbabile. Un’Europa basata sul Consiglio Europeo in mano alle componenti governative nazionali, come scaturita dal trattato di Lisbona è difficilmente rifomabile.
La strategia di Tsipras, credo che sia quella di prendere tempo in attesa di una vittoria di Podemos ed eventuali ulteriori difficoltà e divisioni di Francia ed Italia e almeno per ora la logica del dividi et impera sembra funzionare.

L’Euro ci sta uccidendo


L’Euro ci sta uccidendo

Riporto questo interessante articolo di Paolo Barnard, che spiega in modo chiaro i motivi cha hanno portato alla scelta dell’Euro. L’Euro non è l’unica causa dei nostri mali, ma è stato lo strumento attraverso il quale, il mondo dell’alta finanza globale si è appropriata della nostra sovranità nazionale. Attraverso questo cavallo di troia, hanno fatto passare trattati capestro che soffocano le economie ed il benessere dei cittadini.

E’ tutto falso, e ci stanno ammazzando.
Di Paolo Barnard


Faccio appello ai pochi che ancora usano la loro testa, vi prego, osservate.

L’Europa dell’euro sta esplodendo, e i prossimi a finire sotto le macerie saremo noi italiani, i portoghesi e gli spagnoli. Poi verranno i francesi e i tedeschi. Perché? Perché abbiamo tutti adottato una moneta, l’euro, che è sospesa nel nulla, non ha cioè uno Stato sovrano che la regoli, non si sa di chi sia, e soprattutto noi Stati europei la possiamo solo USARE, non possedere. E’ tutto qui il disastro, e vi spiego.

Ho già scritto che se la Grecia fosse ancora uno Stato che emette moneta sovrana non avrebbe nessun problema, perché potrebbe fare quello che fecero gli USA con un indebitamento assai peggiore (deficit di bilancio al 25% del PIL) 60 anni fa: emettere moneta, pagare parti del debito e rilanciare l’economia senza quasi limite. E’ esattamente quello che fa il Giappone da decenni. Osservate: oltre agli Stati Uniti che sono indebitatissimi (deficit di bilancio 1.400 miliardi di dollari e in crescita prevista fino a 2.900 fra 3 anni), il Giappone ha oggi un rapporto debito-Prodotto Interno Lordo del 200% circa (che in Europa sarebbe considerato l’inferno in terra), la Gran Bretagna ha in pratica lo stesso deficit di bilancio della Grecia e dovrà prendere in prestito 500 miliardi di sterline nei prossimi 5 anni. Ma avete sentito da qualche parte che vi sia un allarme catastrofico su USA, Giappone e Gran Bretagna? C’è qualcuno che sta infliggendo a quei tre Paesi le sevizie di spesa pubblica che saranno inflitte ai greci? No! Perché? Perché Stati Uniti, Giappone e Gran Bretagna sono possessori di una loro moneta non convertibile e non agganciata ad altre monete forti, e questo significa che i loro governi possono emettere moneta nel Paese per risanarsi come detto sopra. E attenzione: possono farlo prendendola in prestito da se stessi, che a sua volta significa che se si indebitano fino al collo possono poi rifinanziarsi il debito all’infinito. E’ come se un marito fosse indebitato con la moglie… cosa succede? Nulla, sono lo stesso nucleo. Noi Stati europei invece dobbiamo, prima di spendere, prendere in prestito gli euro dai mercati di capitali, e quindi per noi i debiti sono un problema, perché li dobbiamo restituire a qualcun altro, non più solo a noi stessi. Noi siamo il marito e la moglie indebitati con gli usurai, ben altra storia.

Ribadisco: uno Stato con moneta sovrana, come appunto Stati Uniti, Giappone o Gran Bretagna, può emettere debito sovrano senza problemi, e finanziarlo praticamente all’infinito con l’emissione di altra moneta, e questo, al contrario di quello che tutti vi raccontano, non è un problema (i dettagli tecnici in un mio studio futuro). Quanto ho appena scritto, è stato confermato pochi mesi fa, fra gli altri, dall’ex presidente della Federal Reserve (banca centrale) americana, Alan Greenspan, che ha detto “un governo non potrà mai fare bancarotta coi debiti emessi nella propria moneta sovrana”. Infatti USA, Gran Bretagna e Giappone, che emettono debiti immensi, non sono al collasso come la povera Grecia e nessuno li sta crocifiggendo.

A voi che avete una mente libera, non viene da chiedervi perché gli USA sono rimasti al balcone a guardare, senza far nulla, la nascita di questo presunto gigante economico dell’euro? Sono stupidi? No. Sono furbi. Sapevano e sanno esattamente quello che ho detto, e cioè che con l’unione monetaria noi Stati europei ci saremmo ficcati precisamente nella gabbia in cui siamo: prigionieri di debiti che non possiamo più controllare e rifinanziare con una nostra moneta sovrana. A chi non lo ricorda, rammento che l’Italia con moneta sovrana degli anni ‘70/80 era zeppa di debito e di inflazione, ma aveva un’economia fortissima che oggi ci sogniamo (e su cui ancora mangiano milioni di figli del boom di quegli anni). Guarda caso dalla metà degli anni ’80, dalla nascita cioè dei poteri finanziari sovranazionali che sono quelli che lucrano oggi sulle nostre disgrazie, si iniziò a predicare agli Stati con moneta sovrana che un debito pubblico e un deficit erano la peste, e questo non è vero. Rileggete sopra. Non lo sono mai se uno Stato ha moneta propria, perché di nuovo “un governo non potrà mai fare bancarotta coi debiti emessi nella propria moneta sovrana”. Alan Greenspan è piuttosto attendibile, e furbo. E allora che scopo aveva quel mantra ossessivo sui (falsi) danni di deficit e debito pubblico che nessuno oggi osa più sfidare? Risposta: spingerci nella mani di una unione monetaria capestro con regole assurde di limiti del deficit e del debito, che ci avrebbe sottratto l’unica arma possibile (la sovranità monetaria) per gestire senza danni l’indebitamento. E questo per compiacere a chi? Risposta: al Tribunale Internazionale degli Investitori e Speculatori guidato appunto dagli Stati Uniti, che con la scusa del risanamento degli Stati indebitati ma non più sovrani (noi appunto) ci costringe a vendere a prezzi stracciati i nostri beni pubblici ai barracuda finanziari, a deprezzare il lavoro con la disoccupazione (tanta offerta di lavoratori = crollano i loro prezzi, come con le merci), rovinando così le vite di generazioni di esseri umani, le nostre vite.

Infine, ricordo chi ha così fortemente voluto in Italia l’unione monetaria europea: Romano Prodi e Giuliano Amato in primis, che non sono stupidi e sapevano benissimo dove ci avrebbero portati. Alla faccia di chi ancora demonizza il centrodestra, che di peccati ne ha, ma confronto a questo sono cosucce da ridere. Qui stiamo parlando della svendita della speranza, per generazioni di cittadini, di poter avere controllo sull’economia, che è tutto, è libertà e democrazia, perché da cassintegrati/precari e senza più uno Stato sociale decente si è a tutti gli effetti degli schiavi.

La crisi dell’Europa, il calvario della Grecia e il nostro prossimo calvario, sono tutta una montatura costruita dall’inganno dell’unione monetaria, dall’inganno dell’inesistente dovere di risanare i debiti degli Stati, che non sono mai un problema se quegli Stati sono monetariamente sovrani. Un inganno ordito dai soliti noti di cui sopra.

Uscire dall’unione monetaria subito! Ritornare Stati europei con moneta sovrana e non convertibile, ora! Hanno ragione i greci, e faccio eco al loro grido scritto sulle pendici dell’acropoli: “Popoli d’Europa, sollevatevi

Jobs end

Beppe Grillo ha ragione, la concorrenza (sleale) al lavoro umano sono le macchine. Però le macchine (i robot) sono il futuro, il lavoro di produzione potrebbe scomparire completamente. Lo scopo delle attuali politiche economiche e finanziarie è quello di controllare i capitali (e le macchine) in modo da obbligare gli uomini al lavoro ripetitivo e mantenerli schiavi. Lo scopo principale è il potere, non la ricchezza! Il reddito di cittadinanza non può essere legato al lavoro inteso in questo senso ma ai lavori creativi e di cura della persona e dell’ambiente.

Lo Slaves Act annunciato da Renzi dovrebbe essere il motivo determinante per convincere i dissidenti del PD ad affossare il governo prima che sia troppo tardi. Appoggiare questa contoriforma di estrema destra, al PD, farà perdere vari milioni di voti. E’ l’esatto contrario di cui l’Italia ha bisogno, perché oltre che ingiusto ed impopolare non è nemmeno efficace a combattere la disoccupazione ed aumentare la produttività.

Jobs Act: I nuovi emendamenti confermano l’indole schiavista di Renzi.
La sinistra PD si preoccupa dell’Art.18 e non si accorge che la cosa più pericolosa e dannosa è il demansionamento, strada spianata alla diminuzione salariale e al libero mobbing. (Art.14) Congratulazioni! Giusto per chiarire le idee a chi crede ancora che il PD sia ‘di sinistra’.

Divina Commedia, canto XXIII: ‘trovai di voi un tal, che per sua opra
in anima in Cocito già si bagna,
e in corpo par vivo ancor di sopra.’
Dante conosceva Renzi?

Ecco cosa ci possiamo aspettare dai 1000 giorni di Renzi.

Schiavismo. https://manuelsimonini62.wordpress.com/…/tabellini…/ Fame e sete: privatizzazioni e vendita delle municipalizzate. https://www.facebook.com/photo.php?v=1442525739360774&fref=nf http://www.ansa.it/…/verso-taglio-partecipate-non… Dittatura. https://manuelsimonini62.wordpress.com/…/riforme…/ Terrorismo economico. https://manuelsimonini62.wordpress.com/…/verra-la…/ Propaganda. https://manuelsimonini62.wordpress.com/…/renzi-usa-la-sla/

Tabellini: Slave Act in arrivo.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/17/crisi-guido-tabellini-non-ce-altra-via-giu-salari-e-tasse-alle-imprese/1092528/


Guido Tabellini, economista, ex rettore della Bocconi, è l’esponente più autorevole della cabina di regia economica che Matteo Renzi vorrebbe a Palazzo Chigi. “Riforme del lavoro che tengano sotto controllo i salari e favoriscano le esportazioni.”


E’ dunque questo, ciò che ci dobbiamo attendere dal Job Act?
Temo proprio di si.

Una riforma di questo tipo porterebbe ad un grave peggioramento nella distribuzione della ricchezza e potrebbe portare ad un conflitto sociale estremizzato che affosserebbe definitivamente la nostra economia. In un clima sociale teso e conflittuale la produttività non può che diminuire aggravando ulteriormente la situazione, il calo della domanda interna poi farebbe il resto.

Che un abbassamento dei salari possa poi aumentare la competitività e di conseguenza le esportazioni è tutto da vedere. Vista la contrazione del mercato interno dovuto al calo della domanda, gli investimenti esteri nel nostro paese potrebbero diminuire, dato che il nostro mercato diventerebbe meno appetibile e nessuno verrebbe ad investire in Italia per esportare in Cina o nell’est Europa.

Gli investimenti italiani all’estero non sono determinati dall’inferiore costo della mano d’opera ma principalmente dal minor costo dell’energia, dalla minor burocrazia, da un’imposizione inferiore e soprattutto dalla maggior dinamicità dei mercati. Quindi questi investimenti non rientrerebbero, anzi si estenderebbero ulteriormente.

Le aziende che producono in Italia con maggior vocazione all’esportazione sono quelle con prodotti a più elevato contenuto tecnologico, creativo o qualitativo, soprattutto nel settore agro-alimentare.
Il contenuto di mano d’opera in queste aziende è quasi irrilevante e dove lo fosse si tratta di mano d’opera altamente specializzata, che a fronte di una diminuzione degli stipendi potrebbe emigrare lasciando un vuoto difficilmente colmabile.

E’ ovvio che non possiamo competere con i paesi in via di sviluppo sul costo della mano d’opera a meno che non si abbassi il tenore di vita della classe basa e media a livelli inaccettabili.

L’unica via per uscire dalla crisi sarebbe esattamente quella opposta, aumentare la domanda interna elevando i salari ed espandendo la spesa pubblica produttiva. Orientare la spesa pubblica verso investimenti che creino lavoro per le imprese italiane, soprattutto quelle legate al mercato interno ed al territorio.
Favorire la nascita e lo sviluppo dei distretti industriali, per migliorare la sinergia fra le PMI, favorire l’integrazione fra le aziende e le università, i centri di ricerca e i poli di formazione tecnica, questo in realtà potrebbe aumentare anche le esportazioni.
Evitare grandi opere, spese militari e sovvenzioni a pioggia che non creano ricchezza ma sprechi e deviare queste risorse per lo sviluppo e la diminuzione delle imposte. Prediligere l’acquisto di beni e servizi prodotti sul territorio nazionale e l’appalto delle opere alle aziende del territorio, eliminare la figura del general contractor.
Aumentare e riequilibrare gli investimenti nel trasporto pubblico, nella sanità, nella scuola, nella ricerca e nella salvaguardia ambientale. Favorire lo sviluppo delle energie rinnovabili, il risparmio energetico ed ottimizzare la produzione delle energie tradizionali al fine di diminuire i costi.
Rivedere gli ammortizzatori sociali introducendo un reddito di cittadinanza, un reddito di sostegno, limitando l’uso della cassa integrazione e favorendo i contratti di solidarietà. Riequilibrare il sistema pensionistico raddoppiando le pensioni più basse e dimezzano quelle più alte. Questo non solo allevierebbe le sofferenze di molti cittadini ma rimetterebbe in circolo molto denaro con forte aumento della domanda interna.

Ma per fare questo si dovrebbe sforare il rapporto del 3% debito/pil? Forse si, anche se non è certo, ma se si riuscisse a generare sviluppo ed un inflazione attorno al 3% annuo si rientrerebbe nel parametro nell’arco di pochi anni. Un piano serio, corredato da numeri, date e punti di revisione e controllo, forse potrebbe essere fatto accettare anche all’Europa, sempre che a proporlo fossero politici seri. I politici poi, sempre che fossero seri, di fronte ad un no europeo potrebbero anche minacciare un’uscita dall’Euro e dalla CE e in caso di ulteriore irrigidimento delle istituzioni europee, metterlo in atto.

Fondi avvoltoi, l’Europa è a rischio.


Come abbiamo sostenuto nei giorni precedenti, la decisione della Corte Suprema americana di dare ragione agli hedge funds statunitensi NML Capital di Paul Singer e Elliott Management causando il default dell’Argentina crea un precedente pericolosissimo. Tuttavia a nostro avviso si è parlato poco degli effetti che questa decisione potrebbe avere in Europa e in Italia. Pochi sanno che questi stessi fondi (che hanno avuto il via libera dalla Corte Suprema USA per pignorare i beni dell’Argentina) si sono mossi negli ultimi diciotto mesi per acquistare in tutta Europa miliardi di sofferenze bancarie al prezzo di 3 centesimi per euro di valore nominale, con l’intenzione di poi di riscuotere l’intero valore nominale. Nel corso del 2013 il fondo speculativo NML Capital e il suo associato Elliott Management (il fondo protagonista dell’attacco all’Argentina) hanno acquistato almeno 1,3 miliardi di euro crediti deteriorati dal Banco Santander, la più grande banca europea, e di altri istituti in difficoltà come Bankia. Il costo totale dell’operazione per Elliott è stato di circa 50 milioni di euro, meno del 4% del valore nominale dei crediti. Elliott ha anche acquistato l’agenzia di riscossione Gesif alla fine del 2013, per farne la propria base operativa in Spagna in vista del previsto boom degli “affari”.
Oltre che alla Spagna i fondi si sono rivolti anche all’Italia. L’anno scorso Unicredit ha venduto crediti deteriorati per quasi un miliardo di euro di valore nominale al fondo Cerberus, a un prezzo di 80 milioni di euro. Unicredit poi sta vendendo l’intera divisione dove ha raggruppato i crediti deteriorati, Unicredit Credit Management Bank, con un portafoglio di 40 miliardi di euro di crediti in sofferenza (1/3 del mercato italiano dei crediti deteriorati). L’incarico sarebbe stato affidato ad Andrea Orcel, banchiere d’affari di UBS (ex Goldman Sachs e Merrill Lynch). Per la cronaca Orcel è colui che ha assistito Monte dei Paschi nell’acquisto di Antonveneta da Santander. In fila per l’acquisto pare ci siano i doversi fondi speculativi: Apollo, Fortress, Lone Star, Cerberus e un gruppo partecipato da Goldman Sachs, Deutsche Bank e TPG Capital.
Se da una parte queste operazioni aiutano le banche a superare lo stress test della BCE, scaricando sui fondi le sofferenze e ripulendo i bilanci, dall’altra i fondi speculativi avrebbero in mano un potere enorme: immaginatevi i risvolti se qualche corte di giustizia europea prendesse una decisione simile a quella della corte suprema americana sull’Argentina? Se venisse riconosciuto ai fondi speculativi il diritto di essere rimborsati per il valore nominale dei crediti acquisiti per pochi spiccioli e il diritto a pignorare i beni dei debitori, quali sarebbero le conseguenze dal punto di vista economico-sociale?
Per impedire il perpetrarsi di queste speculazioni sulla vita dei cittadini si rende necessario discutere non solo a livello europeo, ma anche globale, di una legge sulla bancarotta degli Stati. Infatti oggi non esiste una legislazione precisa che regoli i default degli Stati (e quindi del debito sovrano), come invece accade per le aziende e privati (ad esempio il “chapter 11” statunitense). In Europa chiederemo di sederci ad un tavolo per discutere di una legge o un meccanismo con norme chiare e precise che regoli la bancarotta degli Stati, così come oggi accade per individui e aziende.

Marco Zanni – Portavoce M5S al Parlamento Europeo e Marco Valli